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WEEK 7



EAST DIVISION
by Mauro Rizzotto

 

INDIANAPOLIS 35 - KANSAS CITY 28

"Grazie a Dio abbiamo vinto. Non importa come, ma basta fare più punti degli altri". L'illuminante commento di Jim Mora la dice lunga sullo stato d'animo dei Colts: ci stiamo avvicinando a metà stagione e non solo Indianapolis è ancorata ad un modesto 3-3 in classifica, superata perfino dai Jets, ma soprattutto sembra preda di una crisi di fiducia in sé stessa. Altrimenti non si spiega come mai una squadra che trasuda talento quest'anno abbia già incassato per tre volte più di 38 punti dagli avversari, a volte anche di livello nettamente inferiore come (con tutto il rispetto) i Patriots. E, se volgiamo, questa è anche la storia della partita con i Chiefs.
Almeno 4 volte nel corso della gara i Colts hanno avuto la partita in pugno, sia nel punteggio (sul 10-3, poi sul 17-6, poi sul 28-14 ed infine sul 35-21) sia nell'inerzia della gara. E ogni volta i Chiefs sono riusciti a rifarsi sotto; ed ogni volta i tentativi sono andati a vuoto più per colpe dei Chiefs (e di Trent Green in particolare, che ha tirato tre intercetti) che per meriti dei Colts: la difesa di Indy ha concesso nella sola metà gara la bellezza di 312 yards e 25 punti, ad una squadra che è combattiva e meritevole finchè si vuole, ma rimane pur sempre in fondo alla classifica con un deprimente record di 1-6.
A parte il brodino della vittoria, quindi, l'unica nota lieta viene dalla scoperta di Dominic Rhodes, fino ad ieri oscuro backup di James, ed ora, "grazie" anche all'infortunio che potrebbe costringere "The Edge" sulla sideline per altre gare, probabile titolare sul campo e membro supplente della Triplet dei Colts. A Kansas City Rhodes ha riportato in end zone un kickoff per 88 yards nel terzo quarto e, soprattutto, ha segnato a fine gara il touchdown risultato poi decisivo con una corsa da 77 yards. In totale, per lui, 197 yards complessive. "Ho sempre saputo che ce l'avrei fatta nella NFL, sapevo di avere il talento. È stato un sogno" sono state le sue parole negli spogliatoi.
La vittoria solleva certamente coach Mora da una situazione non felice ma, la tempesta non si è ancora allontanata: dal 1999, anno in cui vinsero la division imponendosi all'attenzione generale come la sicura squadra del futuro, i Colts hanno messo insieme un record di solo 12 vittorie ed 11 sconfitte. Quanto ancora possono aspettare ad Indianapolis?

BUFFALO 24 - SAN DIEGO 27

La scorsa primavera Ralph Wilson, owner di Buffalo, dopo la migrazione collettiva sull'asse freddo-caldo Buffalo-San Diego (il GM Butler, Flutie, Wiley, Holececk) aveva pubblicamente affermato che avrebbe preferito una vittoria contro i Chargers ad una vittoria nel Superbowl. Detto da uno che di sconfitte nel Superbowl ne ha già viste parecchie, suonava come una provocazione gigantesca, ed un segno che la fine del rapporto con l'ex GM John Butler non era stata proprio amichevole. Beh, questo evidentemente è un anno sfortunato, perché di Superbowl nemmeno a parlarne, ed ora anche il quasi-derby se ne è andato. Per la soddisfazione di Butler, che ha dichiarato: "La cosa che mi fa piacere, ora, è che i Buffalo Bills dell'Ovest non ci sono più. Questi sono i Chargers. Sono venuti qui per essere Chargers ed hanno combattuto da Chargers".
Insomma, è stata più una telenovela che una partita, in cui i protagonisti veri, e non poteva essere altrimenti, sono stati i due quarterbacks. Doug Flutie ha vinto, ma non ha stravinto, Rob Johnson ha perso, ma non ha straperso.
Flutie (21-33 per 254 yds, 1 TD passato ed uno corso di persona) ha dimostrato che, a 39 anni, ha ancora magie nel serbatoio: ad un minuto dalla fine è stata la sua corsa da 13 yards che ha riportato sopra i Chargers. E la partita si è chiusa su un calcio bloccato di Arians a sette secondi dallo scadere. Ma Rob Johnson non è uscito battuto, anzi ha chiuso 24/37 per 310 yards, un touchdown passato, uno corso ed un intercetto, ed ha dimostrato come la decisione di tenere lui anziché Flutie non sia stata immotivata. "Ha giocato la sua migliore partita di sempre" lo ha lodato Ralph Wilson in persona a fine gara.
Il quarterback di Buffalo, in effetti, ha fatto in pieno il suo dovere: ha guidato la squadra, ha segnato, ha anche preso le solite botte (è anche uscito per un breve periodo dal campo nel terzo quarto). Però, alla fine, Flutie ha avuto il tempo sufficiente per vincere la gara.
Al lancio della monetina Flutie e Johnson si sono anche stretti la mano, molto professionalmente. Poi si sono dati battaglia sul campo, uno ha vinto e l'altro ha perso. Poi i Bills se ne sono tornati a casa, lasciando Doug Flutie giù dal loro aereo. Forse la telenovela è finita?

MIAMI 24 - SEATTLE 20

È successo di tutto, e per una volta Jay Fielder c'entra fin lì. Perché se è vero che il quarterback dei Dolphins è stato un protagonista della partita, nel male (c'è bisogno di dire come? Dopo 5 minuti di gara il suo score era 2/6 per 23 yards e 2 intercetti...) e nel bene (con la precisione nei lanci che, quando vuole, sa avere, ed i suoi soliti scrambles a sorpresa, come l'ultimo a fine gara che ha chiuso la partita), la partita non l'ha fatta lui. E nemmeno l'hanno fatta i Dolphins.
Perché quella che Miami ha vinto a Seattle è stata una gara talmente strana come se ne vedono poche, che tutte e due le squadre hanno fatto molto per perdere, e che alla fine i Dolphins si sono trovati in mano grazie ad una strana combinazione di fattori. Errori arbitrali, innanzitutto: chiamate riviste all'instant replay e decise in senso inesplicabile: clamorosa una palla persa da Alexander nel primo tempo nel contatto col terreno, chiarissima anche rivista alla televisione, che gli arbitri hanno giudicato fumble ed assegnata a Miami. Ma anche il touchdown di Lamar Smith nel 3° qurto, che ha portato Miami sopra 21-14, è risultato una questione di millimetri, visto che solo dalla televisione si poteva vedere che la palla era passata sopra la goal line. Miami ha infatti chiesto il challenge, ed il TD è stato assegnato.
Errori, poi dei due quarterback. Fiedler, certo, ma anche Hasselbeck. Per un po' in balia completa della difesa di Miami, il qb dei Seahawks sparava palloni indegni, e veniva regolarmente beccato ad ogni incompleto dai boo del pubblico. Fino a quando, dopo il primo passaggio in TD per Itula Mili, tutto è cambiato, ed Hasselbeck ha iniziato un'altra partita, chiusa infatti con un buon 16/28 per 230 yards 2 TD e nessun intercetto.
Errori vari ed assortiti, inoltre, ci sono stati da tutte e due le parti. Per Miami, in particolare, i 2 intercetti di Fiedler (9 in totale quest'anno), una montagna di penalità inutili, ed i fumbles di McKnight ed Ogden. Per Seattle due fumbles per Shaun Alexander e due calci sbagliati da Lindell.
Ma l'errore più grosso, è giusto ricordarlo, è stato diviso a metà tra Mike Holmgren e Rian Lindell. Due minuti alla fine, punteggio di 24-20 per Miami, Seahawks in attacco con un quarto-e-4 sulle 10 yards dei Dolphins. Bene, Baffone Holmgren ha mandato in campo Rian Lindell per il field goal. "Pensavo che, in quella situazione, avremmo potuto calciare il field goal, ridargli la palla, riprenderla e calciare un altro field goal per vincere" ha detto poi. "Ma, per far questo, avremmo dovuto prima mettere il primo field goal". Che Lindell, per sovrappiù, ha infatti sbagliato, affossando definitivamente le speranze di raddrizzare la gara. Miami, da lì in poi, ha solo dovuto chiudere un down e gestire il cronometro.
"Dovevamo vincere questa partita. Dovevamo." ha detto Wannstedt. "Adesso dobbiamo partire da qui per costruire. Possiamo migliorare molto, siamo lontani dal nostro football migliore".

  NEW YORK JETS 13 - CAROLINA 12

In pratica, hanno fatto tutto Jets. I 12 punti che i Panthers sono riusciti a segnare sono tutti scaturiti da palle perse: il primo TD di Carolina, a metà del primo quarto, è stato segnato su un ritorno di 94 yards di un fumble di Richie Anderson, e ambedue i field goals di Kasay sono arrivati alla fine di drives iniziati da intercetti lanciati da Testaverde (alla fine saranno 3).
Ma poi il resto l'ha fatto la difesa dei Jets, quella stessa difesa che era classificata peggiore nella lega (385 yards subite per partita) ed accusata, magari non senza torto, di rendere solo contro i Dolphins (e solo dopo l'intervallo...). L'unico touchdown dei biancoverdi l'ha segnato la difesa, bloccando un punt e riportandolo in end zone, ed al resto ci ha pensato John Hall con due calci, l'ultimo dei quali nato (come volevasi dimostrare) da un intercetto di Aaron Glenn su Weinke a poco meno di 7 minuti dal termine. Alla fine, quindi, è risultato decisivo il punto addizionale fallito da Kasay sul primo touchdown.
Palle perse, intercetti, calci sbagliati, nessun punto dagli attacchi: come si dice, un partitone. Ma che è servito ai Jets per portare a casa la quarta vittoria, ed occupare la seconda piazza nella AFC East, secondi solo a Miami e davanti ad una squadra molto più accreditata di loro come Indianapolis. Certo, se i Jets non iniziano a giocare a football è difficile dire quanto potrà durare, visto che finora le prove non sono state molto confortanti. La difesa, come detto, è tra le peggiori del campionato. Testaverde si è distinto più per gli intercetti lanciati che per i passaggi da touchdown, e forse sta iniziando a sentire l'età ed il fiato di Chad Pennington sul collo. Tra i ricevitori i problemi fisici di Chrebet stanno lasciano Coles troppo solo. Il solo Curtis Martin, instancabile (anche ieri, per lui, 159 yards, la 35esima volta nella sua carriera che va sopra le 100 yards), è una minaccia costante per ogni avversario, ma per fare strada pare un po' poco. E questa partita, vinta per un punto contro una delle ultime squadre della NFL, ne è stato uno specchio esemplare. "Beh, certo, ci siamo quasi sparati nei piedi da noi stessi" ha ammesso coach Edwards dopo la partita "Siamo stati abbastanza fortunati ad uscirne con una vittoria". E Testaverde ha aggiunto: "A volte devi vincere giocando male. L'anno scorso eravamo 9-7, dicendoci che se solo avessimo vinto una partita in più saremmo stati ai playoffs. Beh, questa potrebbe essere questa partita."

  NEW ENGLAND 20 - DENVER 31

162 passaggi. Tanto è durata la striscia di Tom Brady. 162 passaggi in carriera senza un intercetto. Tutto fino al quarto periodo della gara di Denver.
Poi, nel giro di 15 minuti, il crollo, e 4 intercetti in 10 passaggi. Troppo per permettere ai Patriots di uscire imbattuti dall'Invesco Field, contro una squadra, comunque, forse superiore.
All'inizio del 4° quarto Denver era sopra 24-20, un distacco comunque colmabile, maturato grazie ai TDs di Patten, ancora in evidenza e Troy Brown, oltre ai calci di Vinatieri. Ma nell'ultimo periodo New England ha avuto quattro volte la palla e quattro volte Tom Brady l'ha lanciata nelle mani dell'altra squadra: questi errori hanno consentito ai Broncos di sopravvivere ad una partita comunque piena di sbagli e penalità anche dalla loro parte, e di portare a casa la gara.
Dito puntato su Tom Brady, dunque. Si potrebbe però anche dire che si tratta di un giocatore che finora ha totalizzato prestazioni stupefacenti e che solo oggi ha in fin dei conti iniziato a comportarsi come quello che è, cioè un ragazzo praticamente rookie. Infatti, la fiducia dei Pats nei suoi confronti rimane immutata, e la dichiarazione di stima più alta gli viene proprio dall'uomo a cui sta "rubando" il posto: "Io ho fiducia in Tom, a anche la squadra crede in lui al 100%" sono state le parole di Drew Bledsoe. "Deve riprendersi la prossima settimana e giocare meglio, e giocherà meglio. La squadra è con lui ora più che mai". E Brady incassa e replica: "Certo, è facile quando le cose vanno bene, ma questa è la parte difficile. Sarà dura superarla, ma bisogna farlo".
Un momento. Non è stata solo colpa di Brady, intendiamoci. La difesa ha le sue colpe, non essendosi mostrata mai in grado di prevenire o fermare i big plays che, contro una squadra come i Broncos, possono sempre capitare. Ed anche l'attacco avrebbe potuto essere migliore, con errori anche banali ed un running game non particolarmente incisivo (solo 56 yards su 12 portate per Antonwain Smith). Niente che potesse far cambiare la partita, ma forse il tracollo dell'ultimo quarto avrebbe potuto essere un po' meno decisivo.
Comunque, non tutto è grigio. Per come si era messa la stagione all'inizio, essere 3-4 a questo punto è già un successo, e la prossima settimana ad Atlanta si chiude la serie di tre partite consecutive in trasferta. Con una vittoria, le speranze di playoffs non sarebbero del tutto finite.

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