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WEEK 5



EAST DIVISION
by Mauro Rizzotto

 

SAN DIEGO 26 - NEW ENGLAND 29 (OT)

Ora la domanda è: quanto ci metterà la stampa del Massachussets a parlare di quarterback controversy? Queste due parole, appena accennate dopo la vittoria di due settimane fa, quanto tempo impiegheranno a riaffiorare prepotenti sulla bocca di tutti?
In effetti un argomento del genere non sembra molto proponibile: Drew Bledsoe ha appena firmato una estensione decennale del suo contratto, per la modica cifra di un centone di milioni di dollari, il che lo rende impossibile da scambiare, anche nell'ipotesi che la cosa sia presa seriamente in considerazione da qualcuno nello staff dei Patriots. In più è da tutti considerato un leader della squadra, in campo da sempre il massimo ed anche di più e non ci sono in effetti molte motivazioni per liberarsi di lui. Però questo Tom Brady non è niente male.
"Sei 1-3, sotto di 10 punti, e la tua stagione è praticamente arrivata al punto in cui o si vince o si muore" ha detto nello spogliatoio al termine della partita. "Quello che è successo oggi dimostra che i ragazzi qui dentro vogliono combattere, che quando vuoi giocartela mettendocela tutta, qualcosa di buono succede". "È stata una vittoria fondamentale per questa squadra" gli ha fatto eco Bill Belichick "I giocatori hanno dimostrato di avere un grande coraggio".
A metà del quarto periodo, i Patriots erano sotto di dieci punti e Lee Johnson aveva appena commesso un fumble su un punt: la classica ciliegina sulla torta dopo una giornata in cui lo special team di New England era stato inguardabile (secondo Belichick, "il peggiore mai visto nell'ultimo anno e mezzo"). Probabilmente qualche tifoso stava già abbandonando lo stadio. Da lì in poi il giovane quarterback, al suo secondo anno NFL ma solo alla terza partita, completerà 10 passaggi su 16 per 101 yards negli ultimi due drives: il primo chiuso con un FG di Vinatieri, il secondo concluso con il passaggio in TD per Jermaine Wiggins che, a 36 secondi dalla fine, ha mandato la gara all'overtime. E ai supplementari, aiutato anche da una interferenza chiamata contro la difesa dei Chargers, il drive decisivo, chiuso ancora dal piede di Adam Vinatieri.
Ma sarebbe anche riduttivo ricondurre tutto solo alla prestazione di Brady, anche se i titoli dei giornali sono per lui, giovane rampante contrapposto al vecchio leone Flutie (ex della situazione, che tra l'altro al Foxboro Stadium aveva perso solo un'altra volta). Tutta la squadra ha dimostrato di avere almeno un gran cuore. Antonwain Smith ha fatto un altro passo verso la conquista del posto da titolare, non correndo molto ma mettendo a segno un touchdown. Sul fronte passing game, invece, la rentrée di Terry Glenn (accolto da un boato del pubblico alla sua prima ricezione) ha evidentemente significato molto per tutta la squadra: alla fine Glenn chiuderà con 7/110 yds ed un TD; meglio di lui Troy Brown, con ben 11 ricezioni e 117 yds, ma bene anche David Patten (7/73). E bene anche la difesa, che anche se non ha collezionato grandi numeri è riuscita comunque a contenere una squadra pericolosa come i Chargers che veniva a Foxboro vogliosa di riscatto dopo la sconfitta di Cleveland.
"Sarebbe stato un lungo anno se avessimo perso" ha poi detto Bobby Hamilton (DL). "Avevamo bisogno di questa partita. Dimostra che se continuiamo a credere in noi stessi, possiamo fare molte cose".

  NEW YORK JETS 21 - MIAMI 17 

Da dove iniziamo? Dal titolo "Britney-Spears-style" del New York Post: "Oops, they did it again!". Ovvero, come sintetizzare tutto in cinque parole. Come lo scorso anno, i Jets hanno rimontato i Dolphins e li hanno battuti per la settima volta consecutiva; un anno fa Miami era sopra 30-7 all'inizio del quarto quarto, ieri era avanti 17-0 all'intervallo, ed ha perso. Cosa che succede, immancabilmente, dal 1997.
La partita è presto raccontata. Nel primo tempo i Dolphins hanno dominato in lungo ed in largo i Jets: nel conto delle yards (250 contro 27), nel controllo del tempo (hanno tenuto la palla per più di 22 minuti), in difesa (Testaverde è stato sackato due volte ed è riuscito a completare solo due passaggi) e, ovviamente, nel punteggio (touchdowns per Lamar Smith e Travis Minor, e calcio di Mare). Poi, all'intervallo, l'uscita dal campo accompagnata dai "boo" dei 78 mila del Giants Stadium. "Sentire i fans che ululavano ci ha motivato" dirà poi Randy Thomas, guardia dei Jets "Volevamo farli sorridere".
Ed è iniziata un'altra partita. Illuminati dal solito Curtis Martin, i Jets hanno strapazzato i Dolphins (159 yards a 19 nel terzo quarto), segnando con Coles e Martin, forzando quattro turnovers tra cui i soliti due intercetti lanciati da Fiedler. "Gran parte di questo gioco è questione mentale" ha detto Kevin Mawae, il centro di New York "E quando hai il numero di una squadra, come noi abbiamo il loro, sai che loro ci stanno pensando" Ed il suo compagno Ray Mickens ha aggiunto: "Glielo vedevi negli occhi, nel secondo tempo. Quando siamo arrivati a 17-7 sapevano cosa stava per succedere". E la logica conclusione è stata il touchdown di Laveranues Coles che appena dentro al quarto quarto ha chiuso la gara. Il tempo per la rimonta c'era ancora, ma non c'erano più i Dolphins, catturati dai soliti fantasmi e dalle solite domande: non è che ormai qualcuno si sia rassegnato a perdere a New York? Quanta pazienza avrà ancora Wannstedt con Fiedler e la sua preoccupante tendenza a lanciare intercetti che poi si rivelano decisivi prima di provare a cambiare qualcosa?
E poi, la gioia dei biancoverdi di coach Edwards (il LB James Darling dirà: "Ragazzi, dopo la gara c'era così tanta gente che saltava e che urlava che non riuscivi neanche a sentire Herm [coach Edwards]. È la prima volta che gioco in una rivalità accesa come questa con Miami, ed è stato bello esserne stato parte") e la rabbia, lo sfogo violento di Zach Thomas, ancora una volta con Taylor il migliore dei suoi: "L'unica cosa che posso dire è che adesso come adesso facciamo schifo. Sì, possiamo rifarci e magari migliorare, perché abbiamo dei grandi atleti. Ma non c'è nulla di cui vantarsi per averci battuto, noi facciamo schifo ogni anno. Siamo inconsistenti, non siamo una buona squadra. Se avessimo perso contro una buona squadra direi 'Hey, rimettiamoci in pista', ma non è così. Non dò grossi meriti a loro: siamo entrambi due squadre orribili. Non è che siamo grandi squadre: se continuiamo a giocare così nessuno di noi andrà ai playoffs." E ancora: "Bisogna chiudere le partite. I vincenti chiudono. I vincenti non pensano 'Beh, speriamo che il tempo passi e che vinciamo perchè siamo sopra nel punteggio'. Così non siamo vincenti, siamo spazzatura. Io non ho intenzione di restare intrappolato in questa storia delle sette partite di fila, in ogni caso. Non sono preoccupato da questa storia, dico solo che adesso facciamo schifo. Ok, abbiamo battuto Baltimore l'anno scorso: questo ci ha forse fatto vincere il Superbowl? No. Quando ci alleniamo e guardiamo i nastri diciamo sempre 'Dobbiamo vincere questa partita'. Esatto: dobbiamo. Non l'abbiamo fatto".

INDIANAPOLIS 18 - OAKLAND 23

Beh, non c'è poi molto da dire su questa sconfitta. È una partita di quelle che capita di perdere anche se non hai fatto nulla di particolare per perderla, e poi, in fondo, giochi contro una squadra che non è proprio la peggiore del gruppo. "Ogni sconfitta fa male," ha detto coach Mora alla fine della gara "Ma non sono arrabbiato per l'impegno che i ragazzi ci hanno messo. Penso che abbiano combattuto al meglio che potevano, e i Raiders sono una ottima squadra". Ma siccome qualcosina bisogna pure scrivere, sennò le pagine di Huddle sembrano troppo vuote, ecco due osservazioni di segno opposto sulla partita dei Colts.
La prima, positiva, è che la difesa, quella stessa difesa che fino a ieri aveva concesso agli avversari più di 5 yards a corsa, ieri ha contenuto i runners di Oakland (Wheatley e Garner, mica due pippe qualsiasi, oltre a Rich Gannon) a sole 101 yards in tutta la gara. Certo, Tyrone Wheatley ha anche segnato un touchdown nel terzo quarto, ma il miglioramento della difesa di Indy è significativo. Non c'è stata una stella assoluta, ma nello scoreboard i tackles sono ben distribuiti tra un po' tutti i giocatori, segno che è il reparto nel suo insieme che sta crescendo. Se il trand sarà confermato nelle prossime gare, allora forse i Colts hanno qualche speranza di giocare anche dopo la fine della regular season.
La seconda osservazione, un po' meno positiva, è la deludente prestazione dell'attacco. Si dirà: beh, reggere il ritmo dell'inizio, quando Indy aveva segnato 87 punti nelle prime due partite, forse era un po' difficile. Ma, a parte la controobiezioe che i Rams un ritmo del genere lo reggono eccome, ciò che inizia a suscitare qualche (moderata) preoccupazione è il numero degli intercetti lanciati da Manning. Di questo passo quando si incontreranno Colts e Dolphins sarà una sfida a chi riporta più palloni in end zone. Peyton infatti, che per il resto ha chiuso con un discreto 26/41 per 241 yds e 2 TD, ha lanciato 2 intercetti, uno riportato in touchdown da Dorsett nel secondo periodo ed uno, catturato da Tory James nel finale, che ha stroncato l'ultimo tentativo di rimonta dei Colts. Il totale di intercetti di Manning è ora salito a 9; di essi 4 sono stati riportati in touchdown, il che pareggia il record della franchigia stabilito nel 1973, ma su una stagione di 14 gare. Trattandosi di un quarterback del calibro di Peyton Manning, in effetti, forse le preoccupazioni sono eccessive, ma ciò che salta all'occhio è che questi "errori" continuano a ripetersi, e se passano inosservati quando l'attacco segna comunque quaranta punti, risultano invece fatali quando l'attacco stenta. Tutto molto ovvio, ma credo che coach Mora ci stia pensando. E se all'attacco delle scorse partite si dovesse accoppiare la difesa di questa, allora certo ad Indianapolis le preoccupazioni svanirebbero d'incanto.

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